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Ago

Il Processo di Kafka: norme, standard e linee guida nell’era del BIM

Tra norme, standard, strane certificazioni, si osservano nell’industria situazioni simili a quella di Josef K., l’uomo che non ha accesso alla legge e che viene condannato per motivi ignoti nel Processo di Kafka.

Ci proponiamo di fare un po’ di chiarezza tra le varie fonti normative e sul grado di libertà che ciascuno di questi testi lascia all’adozione da parte del singolo.


Uno dei principi cardine per l’adozione di un’innovazione è la presenza di una norma che ne regolamenti l’utilizzo. Durante l’introduzione di una novità tecnologica e di processo, specie se dirompente come il Building Information Modelling, un po’ di disorientamento è normale. Per questo ci proponiamo di fare un po’ di chiarezza tra le varie fonti normative a disposizione e sul grado di libertà che ciascuno di questi testi lascia all’adozione da parte del singolo.

Sia chiaro che tutti gli standard sono uguali, tutti scaturiscono da un genuino e lodevole tentativo di fornire metriche di qualità ed eccellenza, ma alcuni standard sono più uguali degli altri. E per riuscire a distinguere uno standard da un altro, in una situazione che davvero sembra uscita da una parabola di Kafka, ci viene in soccorso un altro standard: la norma ISO/TS 12911: 2012 (Framework for Building Information Modelling Guidance).

La norma ci offre una chiara terminologia e un glossario specifico per testi che hanno, per loro definizione, diversi livelli di approfondimento e diversi livelli di cogenza.

  • Internazionali o Sovranazionali, sviluppate da organi come ad esempio il CEN o la stessa ISO;
  • Nazionali, sviluppate dai singoli organi di governo;
  • Per uso commerciale;
  • Specifici di azienda o di progetto;
  • Specifici di un software.

Trasversalmente a questo schema, si distingue tra:

  • Una Policy, che definisce elementi chiave e obiettivi;
  • Uno Standard, che assegna parametri misurabili;
  • Una Procedura, che definisce chiaramente quali sono i passaggi di un workflow;
  • Una Linea Guida, che favorisce raccomandazioni aggiuntive.

Qualunque testo stabilisca quindi come deve essere realizzato un modello, quindi, non è uno standard: può essere una procedura, o una linea guida. Uno standard non può essere definito tale se non fornisce parametri misurabili il conseguimento dei quali può essere raggiunto in una pluralità di modi.

Nell’industria, Standard sembra essere un termine estremamente popolare. Qualunque documento di specifiche, qualunque sia la sua cogenza, in presenza o meno di parametri misurabili, sembra potersi chiamare Standard. Abbiamo visto che non è così.

Mantenendo presente che uno standard si può definire tale solo se fornisce parametri misurabili e offre flessibilità di workflow, si può anche distinguere tra vari tipi di standard: vediamo quindi qual è il livello di interazione che viene riconosciuto all’operatore dell’industria per ciascuno di questi tipi.

 

  • Standard Accreditati. Si tratta di documenti che sono stati sviluppati attraverso un processo aperto, sotto la linea guida di organismi nazionali e internazionali. Le norme UNI ad esempio sono standard accreditati: vengono sviluppati da un ente privato riconosciuto a livello governativo, da un tavolo tecnico cui chiunque ha accesso, e prima di essere pubblicati vengono sottoposti a un processo multiplo di revisione pubblica che è rigidamente normato.
    Il potere dell’operatore risiede nel processo di revisione pubblica o, a monte, nella possibilità di iscriversi al tavolo e partecipare alla sua redazione direttamente o tramite rappresentanza.
  • Industry Specifications. Sono pratiche dell’industria che vengono formalizzate da un organo di rappresentanza, formale o informale, senza la vigilanza di un protocollo che garantisca la partecipazione di tutte le voci. Il potere di una Industry Specification risiede nella sua adozione da parte dell’industria stessa. In questo, il potere dell’operatore è enorme: il potere di non adottarlo, di contestarlo pubblicamente, di svilupparne uno alternativo insieme ad altri suoi pari. È l’industria stessa a determinarne il valore tramite l’eventuale adozione.
  • Standard di fatto. Si tratta dell’ultima categoria: uno standard sviluppato e presieduto da una singola azienda o da un singolo gruppo. Qualunque documento sviluppato da un singolo ente, senza un consesso di parti, non ha valore di Industry Specification né può avere cogenza normativa: può ambire a diventare Standard di Fatto, ma acquisisce credibilità sulla base dell’utilizzo da parte del resto del mercato.

 

Nella discesa dantesca da Standard Accreditati a Standard di Fatto, il potere del mercato – e del singolo all’interno del mercato – è enorme: accanto alla responsabilità di partecipare ai dibattiti pubblici e al processo normativo, vi è la possibilità di non allinearsi a imposizioni illegittime e irragionevoli. Perché, al di là di tutto, il valore di uno standard viene deciso sempre dal suo livello di adozione nel mercato.

Per approfondimento:

  • Giuseppe M. Di Giuda, Sebastiano Maltese, Fulvio Re Cecconi, Valentina Villa. Il BIM per la Gestione dei Patrimoni Immobiliari: linee guida, livelli di dettaglio informativo grafico (LOD) e alfanumerico (LOI). Hoepli, 2017.
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  • Nathan Cortez, Regulating Disruptive Innovation in Berkeley Technology Law Journal (2014).
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Chiara C. Rizzarda

Strategie Digitali srl – Fondatore

Chiara C. Rizzarda ha studiato architettura, ma ha iniziato la sua carriera come interior designer e supervisore di cantiere per Piero Lissoni. Ha lavorato a progetti tra l’Europa e il Medio Oriente fino a quando non si è avvicinata al BIM, ricoprendo il ruolo di BIM Coordinator. Si è poi spostata nello studio di Antonio Citterio e Patricia Viel.

Insieme a Claudio Vittori Antisari, ha recentemente fondato Strategie Digitali e continua a lavorare per clienti sia privati che pubblici.

Nel 2016 ha pubblicato con Tecniche Nuove “La Sfida del BIM”. Con l’aiuto del game designer torinese Gabriele Gallo, il libro è corredato di un’attività applicativa inedita: un percorso a bivi.

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