10

Set

Interoperabilità: e se il problema non fosse (solo) IFC?

Oggi, quando si parla di interoperabilità, la discussione converge praticamente subito sul tema IFC. Nel farlo, si tende a sottolineare gli aspetti negativi riscontrati nel suo utilizzo. Forse però non sono state ancora valorizzate, sia da parte delle aziende produttrici di software che dai professionisti del settore, alcune delle possibilità che lo standard mette a disposizione.


“I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo” scriveva Wittgenstein: parafrasando, la nostra capacità di rappresentare e conoscere la realtà è funzione di quello che riusciamo ad esprimere e di quello che riusciamo a comprendere quando ci viene comunicato da altri. Il filosofo austriaco ci perdonerà se trasferiamo il suo pensiero nell’ambito ben più circoscritto del Building Information Modeling, affrontando il tema dell’interoperabilità.

Del resto, cosa intendiamo con il termine interoperabilità se non la necessità di un linguaggio condiviso? Di regole e strumenti che ci permettano di efficientare le modalità con cui tradizionalmente organizziamo e trasferiamo le informazioni? Sistemi di classificazione uniformati, formati di dato aperti, protocolli standardizzati per la trasmissione delle informazioni: tutti mezzi per poter parlare di edilizia tutti alla stessa maniera.

In questo sintetico contributo parleremo di IFC, quello che ad oggi è verosimilmente il tema più di dibattuto quando si affronta l’argomento interoperabilità.

L’obiettivo delle considerazioni che proporremo è spingere gli operatori del settore a mettere in discussione alcune posizioni che tipicamente emergono quando si parla di IFC, tesi del tipo “IFC non funziona”, “IFC perde le informazioni”.

 

Come molti di voi già sapranno, IFC (Industry Foundation Classes – UNI EN ISO 16739) è il formato di dati aperto sviluppato da buildingSMART International e, ad oggi, rappresenta la soluzione più praticata per l’openBIM.

 

Comunemente (e comprensibilmente) IFC è percepito in via quasi esclusiva come mezzo per passare modelli informativi da un software A ad un software B, una sorta di documento universalmente leggibile simile, se vogliamo, a quello che è il PDF per i documenti testuali. Ciò che però emerge analizzando il contenuto dello standard è che accanto alla natura informatica dello standard – comunque fondamentale – esiste una componente squisitamente culturale. IFC scaturisce infatti dalla mappatura dei concetti fondamentali, e delle relazioni logiche fra di essi, che caratterizzano i flussi informativi del processo edilizio.

Quest’analisi del settore delle costruzioni, seppur dettagliata, rimane un processo analogico fondato sui contributi degli operatori e, come tale, rincorre una completezza difficile da raggiungere stante la complessità intrinseca del settore.

Lo scenario sopra delineato, ossia quello in cui IFC non prevede la classe (così si chiamano i “mattoni” di IFC) e la relazione logica attraverso cui scrivere l’informazione, rappresenta il caso in cui il difetto risiede, in effetti, nella definizione stessa dello standard. Su questo punto, ci si attende un contributo all’evoluzione di IFC che non può non partire da buildingSMART e da soggetti quali Università, enti di ricerca e associazioni.

In molte circostanze, invece, “IFC non funziona” per ragioni esterne allo standard, quali:

  • il fatto che il software utilizzato non è in grado di scrivere/leggere, anche in ragione dello scopo per cui tale prodotto è concepito, parte dell’infrastruttura informativa di IFC;  testimonianza di questo sono i documenti di certificazione rilasciati da buildingSMART International.
  • il fatto che l’utente che si occupa dell’esportazione/importazione dei modelli informativi in formato IFC non conosca le possibilità di personalizzazione che il software mette a disposizione.

Rispetto a quest’ultimo punto, l’obiettivo è puntato sugli operatori (committenti, progettisti, imprese) del settore e principalmente a loro si rivolgerà il nostro intervento di ottobre a Digital&BIM. Il concetto è questo: prima di ritenere IFC responsabile dell’impossibilità di optare per flussi informativi improntati all’openBIM, siamo certi di avere spremuto al massimo le potenzialità che lo standard attuale ci offre?

 

Ciò detto, non si discute il fatto che presto o tardi anche la tecnologia proposta da IFC passerà – anche se probabilmente non passerà mai la necessità di una codifica condivisa delle informazioni – ma in un contesto culturale dove la necessità è dare diffusione e maggiore applicazione alla metodologia BIM, non va tralasciato il fatto che, oggi, IFC rappresenti forse l’unica soluzione, o quantomeno la più immediata, per alcune attività, quali ad esempio:

  • dare la possibilità di visualizzare e consultare modelli informativi prodotti dai diversi software di BIM authoring, anche attraverso software open-source;
  • garantire la leggibilità del dato, anche a distanza di tempo, indipendentemente dal software (e dalla sua versione) utilizzato per la modellazione – concetto fondamentale in un’ottica di collaborazione e conservazione dei dati.
  • Mettere in atto procedure di controllo e filtro sugli attributi a corredo dei modelli che rilasciamo, di modo da garantire l’esportazione delle sole informazioni affidabili;
  • rispettare gli obblighi di tutela della libera concorrenza in capo alle P.A. (ad esempio, si pensi al modello informativo IFC che può essere reso disponibile in fase di affidamento dei lavori per verifica del computo metrico estimativo);
  • implementare un sistema di requisiti informativi riconosciuto e condiviso, grazie alla traduzione multilingue dello standard, a livello internazionale.


Link di approfondimento:


Michele Carradori

Direttore di BIS-lab®, laboratorio di ricerca del Gruppo Contec

Ha studiato ingegneria edile-architettura presso l’Università di Padova, laureandosi con una tesi sullo standard COBie sviluppata presso il DTU di Copenaghen, (supervisor: prof. Jan Karlshoej e PhD. Ing. Carlo Zanchetta), ed in collaborazione con Permasteelisa.
È membro del BUG – BIM User Group Italia, partecipa in qualità di socio fondatore ad ASSOBIM ed è membro del tavolo UNI per la redazione della norma UNI 11337. Ha partecipato come relatore all’11esima European Conference on Product and Process Modelling e al FM Day 2017 organizzato da IFMA Italia.

Attualmente, in BIS-lab®, si occupa di consulenza e della direzione di progetti ricerca e sviluppo in ambito BIM.
Vai alla biografia autore

Thorsten Lang

Architetto libero professionista e consulente

Thorsten Lang ha ottenuto la laurea in Architettura presso la Amsterdam School of the Arts, dopo aver già conseguito la laurea in Ingegneria Civile presso la Amsterdam University of Applied Sciences. Nel 2008, il progetto che costituiva la sua tesi in Architettura è stato selezionato tra i finalisti del premio olandese Archiprix. Dal 2007 ha lavorato come architetto in Italia, sia in grandi studi professionali che come libero professionista. Ha lavorato come ricercatore per il progetto europeo di ricerca applicata Streamer. Nel 2017 ha conseguito il dottorato internazionale con il programma IDAUP presso l’Università di Ferrara / Polis University, con una tesi sull’automazione del processo di progettazione.

Vai alla biografia autore


Maggiori informazioni su DIGITAL&BIM Italia

Contatti »